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L'ORGOGLIO CHIANTIGIANO A TERNI

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view post Posted on 6/12/2010, 13:08
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Sabato 4 dicembre pomeriggio al Ristorante-Enoteca Met in centro a Terni, presentazione di una bella selezione di viticoltori Chiantigiani:

L’ORGOGLIO CHIANTIGIANO

Alla vecchia maniera del Barone, a Vertine

Salvino Podere Erbolo 2005
Salvino Podere Erbolo 2006

Orizzontale qualitativa raddese
Montevertine Riserva Montevertine 1999
Chianti Classico Riserva Doccio a Matteo Caparsa 1999
Chianti Classico Riserva Bugialla Poggerino 1999
Chianti Classico Val delle Corti 1999

Profondo spirito raddese: Paolo Cianferoni e Roberto Bianchi

Chianti Classico Riserva Doccio a Matteo Caparsa 2003
Chianti Classico Riserva Val delle Corti 2004

Il nuovo a Radda è la continuità: Michele Braganti
Chianti Classico Riserva Il Campitello Monteraponi 2007

Erano presenti Filippo Cintolesi ed Andrea Pagliantini, in rappresentanza non solo di podere Erbolo ma anche di una certa idea di chiantigianità.
La selezione vini era stupenda, grazie anche alla collaborazione dei produttori che hanno rovistato in cantina alla ricerca di bottiglie di annate particolari per l'occasione.
Personalmente, ho lasciato il cuore sulla Riserva 2004 di Roberto Bianchi (Val delle Corti), sempre un'espressione aristocratica e particolarmente raffinata del sangiovese raddese. Per dare maggior forza a questa espressività, ho fatto aprire una bottiglia il giorno prima, ben sapendo che i vini di Roberto necessitano di un surplus di aereazione. Peraltro, nel caso della 2004, certamente annata importante in Toscana, si è rivelata una precauzione non indispensabile, tanto è stata l'immediata baldanza del vino, espansivo sia in larghezza che in profondità, toccando una gamma di corde davvero stratificata, senza mai perdere i tratti tipici dell'uvaggio chiantigiano.

Per i ternani presenti, i vini erano una prima assoluta. Forse mai in Umbria si era affrontata l'area di Radda in Chianti e dintorni (Vertine è a 4 Km in linea d'aria, con altitudini simili) con uno spettro così ampio di annate, temi e produttori. Piaciuto convintamente il Salvino 2005, un'annata con bassa produzione, faticata, di più, tribolata. Proprio per questo verace e vivace, con la malvasia che guizza e salta attorno al canaiolo e al colorino, un'espressione del vecchio stile che è piaciuta molto. E questo dovrebbe far particolarmente riflettere chi ha con tanta faciloneria deciso di togliere le uve bianche dall'antico uvaggio chiantigiano di Ricasoli, inserendo invece gli assurdi tagli del 20% di Cabernet o altro. Ma soprattutto, senza ancora aver ripensato profondamente a quelle scelte, insistendo su una strada che non porta i frutti sperati nè qualitativamente nè (direi di conseguenza) commercialmente.

Montevertine era nome già noto tra i presenti, l'unico dei sei. Ed è certamente importante che i vini dei Manetti, prima Sergio e poi Martino, pur non denominati Chianti Classico (ma lo sono a pieno titolo, se non diamo retta alle classificazioni burocratiche), fungano da apripista per gli altri produttori meno noti, più piccoli, forse anche più affannati alla ricerca di un mercato saldo e una sopravvivenza meno complicata. E' particolare merito di Martino se serate come queste sono possibili, visto la ferma convizione che la crescita di ogni produttore (lui compreso) significa la crescita di tutta Radda e del Chianti Classico, alla fine. Proprio per questo sarebbe indispensabile che lo stile chiantigiano fosse sempre riconoscibile, seppur con gli inevitabili "dialetti" dei vari terroir, con il sangiovese saldamente in primo piano e mai sovrastrato nel gusto da uvaggi alla moda o da tappeti di falegnameria. Con saldi di canaiolo e colorino, magari recuperando le uve bianche, particolarmente la malvasia e non disdegnando il trebbiano. Non è facile, ma chi ha detto che fare una buona uva da vino è facile? E chi ha detto che stare nel Chianti deve essere una speculazione di breve periodo? Tutti i produttori rappresentati (escluso il vertinese Cintolesi) sono almeno alla seconda generazione, una missione di famiglia, e lo stile dei vini rappresenta una continuità o una evoluzione nel solco della chiantigianità. Investire in Chianti solo per prestigio, per sfizio, per vendere ai cinesi, ai russi e agli americani ("tanto loro che ne sanno di Chianti Classico e di sangiovese"). Prostituirsi al mercato al ribasso non è la strada. Di più, distrugge un territorio sia nel prestigio che nel concreto del paesaggio, dato che i presidi della tradizione diminuiscono e i rischi di smembrare un grande capolavoro di unità si fanno più pressanti. Su questa strada, Caparsa, Val delle Corti, Monteraponi e Poggerino, ognuno a suo modo, costituiscono un paradigma per gli altri raddesi e per tutto il Chianti Classico veramente vocato alla coltivazione della vite. Hanno trovato una sintesi espressiva diversa ma riconducibile sempre ad una matrice comune agli odori e ai sapori, terrosi e di visciole ma anche floreali, più tersi, dei loro terreni posti tra i 400 e i 500 mt, con punte talvolta vicino ai 550 mt.

Edited by brozzi - 6/12/2010, 22:55
 
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